La scienza espressa

Il 29 luglio Chasles prese di nuovo la parola per ribadire l’autenticità dei documenti presentati e per difendersi dall’impressione di aver voluto accusare Newton di plagio. Dichiarava che era in possesso di numerose lettere in cui decine di personalità dell’epoca, tra i quali Leibniz, non solo avevano dichiarato la loro ammirazione per Pascal (una ventina solo della regina Cristina di Svezia), ma anche della madre di Newton, di Hooke e Boyle che ringraziavano il francese per i consigli dati su vari argomenti di fisica. Con l’ennesimo colpo di teatro, esibiva addirittura alcune lettere di Pascal al giovane Newton, che accompagnavano manoscritti suoi e di Cartesio, e le risposte di ringraziamento dell’inglese, scritte in ottimo francese. Duhamel tuttavia replicava che il nuovo materiale non chiariva i dubbi sollevati nelle sedute precedenti.

Verso la fine della seduta veniva letta una memoria del letterato, diplomatico, poeta laureato Armand Prosper Faugére (1806-1887), profondo conoscitore dell’opera di Pascal, il quale, esaminata una lettera fattagli cortesemente avere da Chasles, dichiarava senza dubbi che la scrittura e la firma in calce non erano di Pascal. Inoltre gli sembrava utile poter esaminare tutta la documentazione per dissipare ogni dubbio. 

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Armand-Prosper Faugère (1810-1887) fu uno storico e letterato che entrò al Ministero degli Affari Esteri nel 1840. Nominato direttore degli Archivi e delle Cancellerie nel 1866, vi restò fino al pensionamento nel 1880. La sua attività letteraria è essenzialmente dedicata allo studio della vita e dell’opera di Blaise Pascal. 

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Seguiva la lettura di una memoria inviata dal filosofo Charles Bénard (1807-1898), che non aveva dubbi: lo stile, la grafia e persino la carta non potevano essere di Pascal. Inoltre i risultati attribuiti a Pascal sulle masse relative del Sole, di Giove, di Saturno e della Terra, erano impossibili da ottenere alla data in cui quelle lettere sarebbero state scritte, ma sembravano copiati da un moderno manuale di cosmografia. Bénard, notando alcuni anglicismi nello stile del presunto Pascal, adombrava persino l’ipotesi di un complotto di un falsario inglese per mettere in ridicolo la comunità scientifica francese! Questa volta Chasles non rispose immediatamente, riservandosi di farlo in una seduta successiva.

Nella seduta del 12 agosto veniva letta una memoria inviata sei giorni prima al segretario Chevreul dal fisico e inventore scozzese Sir David Brewster, biografo di Newton, sulla presunta corrispondenza tra Pascal e Newton. 

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Sir David Brewster (1781 – 1868) era un fisico e inventore scozzese, noto per il perfezionamento dello stereoscopio e del caleidoscopio. Famoso per i suoi studi di ottica e per la sua attività di divulgatore, fu autore della biografia di Isaac Newton, che pubblicò nel 1855 (Memoirs of the Life, Writings and Discoveries of Sir Isaac Newton), un’opera che incarna più di venti anni di ricerche tra i manoscritti originali e altre fonti disponibili.

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“Ho letto con più che sorpresa la presunta corrispondenza di Pascal con Boyle e Newton pubblicata nell’ultimo numero dei Comptes rendus. (…) Avendo studiato attentamente tutte le carte e la corrispondenza di Sir Isaac Newton (…) non esito a dire che in questa raccolta non esiste alcuna lettera di Pascal a Newton, né alcun altro documento contenente il nome di Pascal. (…) Credo che tra Pascal e Newton non ci siano mai stati scambi epistolari (…)”. 

Ciò confermava i dati raccolti durante il lavoro preparatorio svolto vent’anni prima per scrivere la biografia dell’inglese. Inoltre la presunta lettera a Pascal di miss Anne Ayscough, madre di Newton, era un falso evidente: Newton aveva solo quattro anni quando sua madre aveva smesso di portare il cognome Ayscough. Solo con il nuovo nome di Hannah Smith avrebbe potuto corrispondere con Pascal. Quanto alla lettera di Pascal a Boyle, datata 16 giugno 1654, in cui gli si faceva dire che aveva ricevuto una memoria di Newton sul calcolo infinitesimale, sul sistema dei vortici, sull’equilibrio dei fluidi e sulla gravità, era un altro falso grossolano, perché Newton aveva allora undici anni e mezzo. Anche le lettere di quell’anno di Pascal a Newton non potevano essere vere, perché quest’ultimo si occupava, com’era giusto per la sua età, al massimo di aquiloni e quadranti solari e non avrebbe condotto il suo primo esperimento scientifico che nel 1658, come egli stesso aveva detto a John Conduitt, suo biografo e parente acquisito. Brewster concludeva dicendo che si augurava che Chasles mettesse a disposizione tutto il suo materiale anche in Inghilterra, dove le lettere di Pascal, Boyle e Newton erano considerate delle spregevoli contraffazioni. 

Niente da fare: Chasles non si arrendeva. Vrain Lucas, man mano che procedeva la polemica, gli preparava nuove lettere per rispondere alle obiezioni, soprattutto ora che gli studiosi stranieri si erano uniti alla mischia. Eccolo allora produrre nuove lettere di Pascal, delle sue due sorelle, di Hobbes, Perrier, Malebranche, Newton, Mariotte, Jourdan, Montesquieu, Racine e molti altri per difendere la sua tesi. In fondo Boisjourdain era inesauribile. Richiesto di fornire informazioni sull’origine di tutta la sua documentazione, Chasles diceva che gran parte proveniva dall’ufficio dello scrittore ugonotto esule in Inghilterra Pierre Desmaizeaux, amico e confidente di Newton, e che, alla sua morte era stata acquisita da alcuni collezionisti.

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Pierre des Maizeaux, scritto anche Desmaizeaux (1666 o 1673 – 1745), era stato uno scrittore ugonotto francese esiliato a Londra. Suo padre, ministro della chiesa riformata, dovette lasciare la Francia alla revoca dell’editto di Nantes e si rifugiò a Ginevra, dove Pierre fu educato. Nel 1689 andò in Inghilterra, dove si dedicò al lavoro letterario. Rimase in stretto contatto con i rifugiati religiosi in Inghilterra e in Olanda, ed era costantemente in corrispondenza con i principali studiosi e scrittori continentali, che avevano l’abitudine di assumerlo per condurre gli affari che potevano avere in Inghilterra. Nel 1720 fu eletto membro della Royal Society. Parte della corrispondenza di Des Maiseaux è conservata al British Museum, mentre altre lettere si trovano nella Biblioteca reale di Copenaghen. 

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Duhamel incominciava a perdere la pazienza: le lettere presentate contenevano asserzioni scientifiche che potevano accontentare solamente chi non conosceva né le opere di Pascal, né quelle di Newton. Le principali scoperte matematiche di Newton riguardavano la teoria delle equazioni, delle serie, degli infinitesimi sotto due aspetti diversi: egli era il creatore della teoria del movimento curvilineo, assoluto o relativo, e, applicandolo ai fenomeni conosciuti mediante l’osservazione aveva potuto scoprire e dimostrare la gravitazione universale. Ora, nessuna delle opere di Pascal faceva riferimento a queste teorie: come poteva Newton essere suo debitore? Newton poteva certamente aver avuto dei predecessori, ma piuttosto avrebbe dovuto fare i nomi di Cartesio e Fermat, non quello di Pascal!

Il 19 agosto Chasles interviene per rassicurare che avrebbe fornito tutta la documentazione agli esperti, compresi quelli inglesi, ma sosteneva che un falsario non poteva aver prodotto tutta quella serie di lettere che confermano, direttamente o indirettamente, la primogenitura di Pascal. Duhamel dichiarava che avrebbe scritto a Faugére per sapere se confermava il suo giudizio critico sull’autenticità della grafia di Pascal.

Ansioso di chiarire questa corrispondenza molto inquietante, Faugère ottenne dall’Accademia la creazione, al suo interno, di una commissione incaricata di esaminare le lettere di Pascal. In qualità di specialista, entrò anche a far parte del comitato che si riunì il 19 agosto 1867. Per la prima e ultima volta. 

Uno dei suoi membri, Urbain Le Verrier, direttore dell’Osservatorio di Parigi, scopritore di Nettuno, chiede a Chasles di far gentilmente sapere da chi ha preso i suoi documenti. Rifiuto formale del matematico. Se i documenti gli arrivassero da un libraio, precisa, non esiterebbe a dire il nome del venditore. Ma poiché non è così, non gli è permesso rivelare l’identità della sua fonte. Da quel momento in poi Le Verrier si ritira dalla commissione, che l’Accademia scioglie poco dopo la sua istituzione.

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Il 18 settembre 1846, Urbain Le Verrier (1811-1877), dopo un anno e mezzo di studi, inviava una lettera all’astronomo tedesco Johann Gottfried Galle di Berlino, in cui gli chiedeva di cercare con il telescopio in un angolo ristretto di cielo dove si doveva trovare un corpo celeste che non era una stella, nè una cometa, bensì un nuovo pianeta. 

Galle ricevette la lettera il giorno 23. La sera stessa scoprì, entro un grado dalla posizione prevista, nella costellazione dell’Aquario, una stella non ancora classificata, che il giorno successivo si sarebbe mossa. Il 25 settembre, egli inviò al francese una lettera di risposta, nella quale gli comunicava che “il pianeta esiste davvero”. Era stato individuato il decimo pianeta, Nettuno. Il grande fisico François Arago commentò con queste parole: “Il signor Le Verrier ha scorto il nuovo pianeta senza aver bisogno di gettare un solo sguardo verso il cielo: l’ha visto in cima alla sua penna.” 

La scoperta proiettò Le Verrier nel Pantheon degli astronomi (c’è anche da dire che gli diede una certa boria, perché aveva un carattere polemico e autoritario: nel 1870 fu allontanato per qualche anno dall’insegnamento per le lamentele di studenti e collaboratori). 

La vicenda era cominciata nel 1781, quando William Herschel scoprì Urano. Negli anni Venti del secolo successivo, l’astronomo francese Bouvard si rese conto che l’orbita di Urano non si accorda con i calcoli teorici basati sulla gravitazione universale di Newton. Inoltre lo scarto osservato, più di due minuti d’arco, era ben oltre gli errori di misura ipotizzabili, e cioè qualche decimo di secondo d’arco.

Secondo la gravitazione newtoniana, tutti i corpi celesti sono attirati vicendevolmente secondo leggi matematiche precise. Si può dunque predire, tenendo conto dell’influenza della massa del Sole e di quella dei grandi pianeti come Giove e Saturno, la massa e la traiettoria di un nuovo pianeta. Le Verrier avanzò proprio questa ipotesi e, calcolo dopo calcolo, fu anche in grado di prevedere la sua orbita. Così sapeva anche dove andarlo a cercare. Fu il trionfo della meccanica celeste, del cielo considerato come un orologio perfettamente funzionante. 

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Nella seduta del 26 agosto Chasles presentava una lettera di Leibniz a Desmaizeaux, in cui si dichiarava onorato di possedere una lettera scritta da Pascal a undici anni! Quanto alla grafia di Pascal, sosteneva che l’originale dei Pensieri era quasi illeggibile per la cattiva conservazione e, alle obiezioni sulla natura della carta, sosteneva di mettere a disposizione dei colleghi chimici dei campioni da sottoporre a tutte le analisi del caso, anche se potevano essere distruttive. A lui sarebbe bastata una copia certificata. La sincerità e la buona fede di Chasles erano fuori discussione.

Alla fine della seduta veniva letta la risposta che Faugére aveva inviato in seguito all’invito rivoltogli una settimana prima da Duhamel. Per l’esperto bisognava considerare principalmente tre ordini di fatti: 1) La verifica della scrittura. Confrontata con i manoscritti di Pascal, quella dei documenti presentati da Chasles era completamente diversa. Il falsario non si era neanche preoccupato di imitarla, limitandosi a utilizzare una grafia più o meno antica e un lessico che ricordava quello in uso nel Seicento. La carta utilizzata era antica, ma l’inchiostro era nuovo, per quanto si era tentato di dare una patina di antichità. Era poi evidente un altro fatto: la scrittura del falso Pascal e quella attribuita alle sue sorelle erano opera sicuramente della stessa mano. 2) Le incongruenze scientifiche. Faugére riconosceva di non essere un esperto, ma era convinto che una scoperta scientifica non poteva mai prescindere dalle conoscenze del suo tempo. E come poteva Pascal aver scoperto la gravitazione universale se nelle Lettere provinciali non ammetteva neanche, per paura dell’Inquisizione o per convincimento personale, che la Terra gira intorno al Sole? 3) Lo stile. Pascal aveva uno stile asciutto e sintetico, non certo pieno di ridondanze e luoghi comuni come appariva dai documenti consegnati all’Accademia. E una persona come lui, schivo e alieno dalle glorie mondane, perché in una lettera al giovane Newton avrebbe dovuto augurargli fama e successo? Vi era poi la questione del caffé. Nella lettera a Boyle del 1652, il presunto Pascal parlava di schiuma del caffè attirata dal bordo della tazza. Ebbene, l’usanza di bere il caffé era stata introdotta dall’ambasciatore ottomano a Parigi solo nel 1859, sette anni dopo! Insomma, secondo Faugére, l’intera corrispondenza di Pascal portata da Chasles era un falso senza precedenti per audacia e grandezza. Sembrava un vasto complotto costruito con abilità e ingegno. 

Chasles rispose il 2 settembre con un lungo intervento in cui replicò punto per punto alle obiezioni ricevute, soprattutto a quelle di Faugére. Egli possedeva una tale vastità di lettere, di vari autori e destinatari, che concordavano nell’attribuire a Pascal il merito di scoperte scientifiche fondamentali, anche se mai pubblicate. Riguardo alla verifica della scrittura, com’era possibile concentrarsi sul tono nero dell’inchiostro (che rimane anche in certi inchiostri antichi) quando dalle lettere risultava un complesso di conoscenze e relazioni che solo Pascal poteva avere? Sul movimento della Terra, non era vero che Pascal lo negasse: lo dava per scontato e non ci si soffermò troppo perché stava parlando d’altro, solo che, da valente scienziato com’era, richiedeva prove ulteriori. Quanto alla prova del caffé, il fatto che non fosse ancora entrato tra i lemmi di un dizionario dell’epoca non era sufficiente a dimostrare che non si conoscesse. I dizionari del tempo non riportavano termini come elettricità e magnetismo che pure erano comuni nelle corrispondenze degli scienziati. Il caffè era conosciuto dai viaggiatori, che avevano potuto assaggiarlo a Venezia già nel 1615. Inoltre Francis Bacon ne parlava nel 1614 e il primo caffé pubblico fu aperto a Londra nel 1652. Com’era possibile che lo conoscessero gli inglesi e non i francesi? Infine, le obiezioni sullo stile erano le più facili da contraddire. Quali anglicismi? Quali ridondanze? Quello era lo stile in uso nel Seicento, come si poteva verificare da altre lettere di Pascal a Newton, alla regina di Svezia, a John Wallis, e molte altre che egli metteva a disposizione dell’illustre consesso.

Marco Fulvio Barozzi

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