La scienza espressa

GIRLS IN STEM: la lunga strada per la parità di genere nelle discipline scientifiche

Le analisi del mercato del lavoro italiano hanno da tempo evidenziato le disparità di trattamento tra maschi e femmine, definendole “segregazione occupazionale di genere”. La segregazione occupazionale rappresenta una disuguaglianza e una fonte di penalizzazione anche sul versante della competitività economica. Nel contesto accademico e della ricerca è possibile individuare due forme di segregazione: quella orizzontale, con la quale si intende la concentrazione di donne e uomini in specifiche aree disciplinari e settori di ricerca, e quella verticale che indica la sotto-rappresentazione delle donne nei più alti livelli occupazionali (per reddito, stabilità e prestigio). Di segregazione verticale si è spesso sentito parlare attraverso concetti come “soffitto di cristallo” (glass ceiling) o “pavimento appiccicoso” (sticky floor) che evidenziano le barriere e gli ostacoli che rallentano e/o impediscono il raggiungimento delle posizioni apicali alle donne.

L’Annuario Scienza Tecnologia e Società, curato da Observa Science in Society e pubblicato da Il Mulino, è giunto quest’anno alla ventesima edizione e permette di fare un bilancio sul rapporto delle donne nelle discipline scientifiche e nell’accademia italiana nei due decenni appena trascorsi. Nel 2022, ultimo anno in cui il dato Eurostat è disponibile, l’Italia registra il 18,1% di laureati e dottori di ricerca tra i cittadini, collocandosi penultima tra i Paesi europei; una percentuale più bassa (17,1%) si registra solo in Romania. Tuttavia, il 57,7% dei laureati e dei dottori di ricerca nel nostro Paese è donna. L’Italia si colloca, seppur di poco, sopra la media europea (57,2%). La quota di donne laureate e dottoresse di ricerca supera quella degli uomini in tutti e 27 i paesi dell’Unione Europea ed è superiore al 60% in dodici paesi. Al di sotto della media UE si trovano invece Spagna, Danimarca, Paesi Bassi, Francia, Irlanda, Austria, Lussemburgo e Germania (ultima con il 51,1%). Questi dati non devono sorprendere.

Da decenni, infatti, le donne sono in numero maggiore tra gli iscritti all’università, tra i laureati e in molti paesi anche tra i dottori di ricerca. Si laureano in minor tempo e con voti più alti, ma laureate e specializzate entrano con più difficoltà degli uomini nel mondo del lavoro e, soprattutto, accedono di meno alle professioni legate alla ricerca. In Italia, solo il 34,9% dei ricercatori è donna, mentre è il 50% in Lettonia, il 42,5% in Portogallo e il 41,5% in Spagna. Si collocano più in basso dell’Italia altri importanti Paesi europei come la Finlandia (33,4%), la Svezia (33,3%), la Francia (28,3%) o, nuovamente, la Germania (28,1%). Il dato complessivo europeo è pari al 33%.

Distinguendo la percentuale di ricercatrici per settore di attività, diviene evidente che è quello industriale il settore in cui le donne sono più assenti. Nell’ultimo anno disponibile, in Italia, le donne sono un ricercatore su cinque nelle imprese, mentre arrivano al 41,4% nelle università e al 48,2% nel settore pubblico. Se quello universitario è il secondo settore di attività per presenza di donne ricercatrici in Europa, qual è nel complesso la quota femminile tra i docenti universitari? I dati Eurostat ci mostrano che in Italia il 37,9% dei docenti universitari è donna. Una percentuale pressoché immutata dal 2015. Solo Malta, Grecia e Lussemburgo ne hanno meno, mentre sono Croazia, Bulgaria, Romania, Finlandia, Lettonia e Lituania a raggiungere o superare il 50%.

Le donne nei posti che contano, dunque, sono poche, soprattutto in ambito accademico. Non è sufficiente ricordare che nelle università italiane le rettrici sono 13 e rappresentano appena il 15% del totale. Un’analisi per ruolo rende la segregazione verticale ancora più evidente: tra i titolari di assegni di ricerca e i ricercatori a tempo determinato si riscontra una sostanziale parità di genere ma, a partire dal ruolo di ricercatore a tempo indeterminato il gender gap si manifesta in modo evidente. Nel settore universitario il divario di genere tra i ricercatori è oggi più basso di quello tra associati e ordinari in tutte le discipline, ma questa constatazione non deve far supporre che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini di raggiungere il medesimo status accademico. Le donne, infatti, sono il 43,6% tra i ricercatori a tempo indeterminato, il 40,4% tra i professori di seconda fascia (associati), mentre tra i professori di prima fascia (ordinari) sono una su quattro. Una condizione di segregazione che diviene ancora più evidente se si effettua un confronto tra le diverse discipline. Le professoresse ordinarie sono l’11,5% in ingegneria industriale e dell’informazione e il 14,6% nelle scienze fisiche, mentre raggiungono il 37,8% nelle scienze storiche e il 43,9% nel settore filologico-letterario e storico-artistico. Possiamo constatare, quindi, che nonostante i passi avanti che si sono indubbiamente registrati negli ultimi anni, le STEM non sono (ancora) un mestiere per tutte le donne. Sebbene la presenza delle donne nell’attività scientifica sia ormai sempre più rilevante, permangano ancora stereotipi che faticano a essere abbandonati: nel 2006, durante una conferenza, l’allora rettore dell’Università di Harvard Lawrence Summers sostenne che le donne sono meno dotate di «capacità innate» per la scienza, indicando questo presunto fattore come uno dei principali ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere i massimi livelli nella ricerca scientifica. Da anni, organismi e istituzioni nazionali ed europee hanno rivolto una specifica attenzione al tema femminile adottando iniziative volte a promuovere la partecipazione delle donne e delle ragazze nelle discipline scientifico-tecnologiche. L’istituzione di momenti di sensibilizzazione come la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza (11 febbraio) o l’aver favorito l’accesso ai finanziamenti sono alcune iniziative che hanno contribuito a conseguire una riduzione delle diseguaglianze. Tuttavia, la tendenza verso l’uguaglianza di genere nella scienza non può essere data per scontata, almeno nel breve periodo. C’è decisamente ancora molto lavoro da fare.

Andrea Rubin

Università di Ferrara

Riferimenti bibliografici:

– Bucchi, M., Pellegrini, G., Rubin, A. e Saracino, B. (a cura di) (2024), Annuario Scienza Tecnologia e Società 2024, Bologna, Il Mulino.

–  Pezzuoli, G. e Seveso, L. (a cura di) (2017), 100 donne contro gli stereotipi per la scienza, Milano, Egea.

EUROSTAT database, Distribution of graduates at education level and programme orientation by sex and field education, sito web ufficiale.

OECD database, Main Science and Technology Indicators, sito web ufficiale.

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