L’epatite virale è un’infiammazione del fegato causata da uno dei cinque principali agenti patogeni umani, ossia i virus dell’epatite A, B, C, D (o Delta) ed E. Tutti questi virus possono causare un’epatite acuta, con il rischio – per fortuna non frequente – di un decorso fulminante e rapidamente letale. Tuttavia, l’impatto più importante a livello di salute pubblica è causato dalle conseguenze a lungo termine delle epatiti croniche, che possono portare ad una cirrosi e al carcinoma del fegato. I virus in grado di causare un’epatite cronica sono quelli dell’epatite B, C, D e, molto più raramente, E. Per dare un’idea della gravità del problema, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) relative al 2022, le epatiti virali, se considerate collettivamente, sono state la seconda causa più importante di mortalità per malattie infettive al mondo, al pari della tubercolosi e dopo il COVID-19 (e più del doppio rispetto all’AIDS). In quell’anno, infatti, l’OMS ha stimato che almeno 1.300.000 persone siano decedute per un’epatite fulminante, una cirrosi o un carcinoma del fegato associato a un’infezione da virus dell’epatite virale, essenzialmente B e C. Ogni giorno, nel mondo, si calcola che 3500 persone muoiano di epatite B o C. La situazione è ritenuta preoccupante dall’OMS. Infatti, nonostante i progressi tecnologici abbiano portato a sviluppare mezzi diagnostici, terapeutici e profilattici di elevata efficacia, i dati sopra riportati mostrano come si sia ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi prefissati dall’OMS stessa nel 2016, ossia di eliminare le epatiti virali B e C in quanto minacce alla salute globale entro il 2030. Si aggiunga che la mortalità è in aumento rispetto alle precedenti stime di 1.100.000 decessi del 2019.
L’epatite B è causata da un virus trasmissibile tramite il contatto con il sangue infetto, attraverso rapporti sessuali e per via materno-fetale. L’OMS stima che 254 milioni di persone siano infettate da questo virus, di cui 30 sono bambini e adolescenti. Esiste un vaccino altamente efficace e sicuro, disponibile dai primi anni ’80: poiché il rischio di evoluzione verso la cronicizzazione è maggiormente elevato nel neonato (infettato dalla madre) e nei primi anni di vita (per lo più dopo esposizione iatrogena, ossia contatto con aghi e altri strumenti taglienti non monouso e contaminati da sangue infetto), il vaccino è anzitutto indicato alla nascita e in età infantile, oltre che in adulti a rischio di esposizione sessuale o da sangue (come nel caso della tossicodipendenza per via intravenosa). Si stima che durante i primi 20 anni di campagne vaccinali, il vaccino contro l’epatite B abbia evitato almeno 310 milioni di nuovi casi di epatite cronica B, diminuendo drasticamente l’incidenza di carcinoma del fegato. Disponiamo anche di farmaci altamente potenti e ben tollerati in grado di inibire la replicazione virale, bloccando la progressione della malattia epatica associata, senza tuttavia eradicare del tutto l’infezione.
L’epatite C è causata da un virus completamente differente dal precedente, in grado tuttavia di provocare le stesse lesioni nel fegato: epatite cronica, cirrosi e tumore del fegato. Trasmesso soprattutto attraverso contatto col sangue e oggetti da esso contaminato, infetterebbe tra 50 e 60 milioni di persone al mondo. Nonostante non esista un vaccino, il controllo dell’epatite C è reso possibile dalla disponibilità di farmaci molto potenti e sicuri, in grado di eradicare l’infezione dopo solo poche settimane di trattamento.
Se quindi esistono farmaci e almeno un vaccino altamente efficaci, per quali motivi siamo nella situazione paradossale di trovarci ben lontani dagli obiettivi prefissati dall’OMS? Anzitutto non esiste una sufficiente consapevolezza del problema a livello di molti attori coinvolti, con due principali conseguenze. A livello politico, le strategie di eliminazione sono spesso inesistenti o, laddove siano attuate, si rivelano scarsamente efficaci. A livello della classe medica, occorrerebbe incrementare lo screening, ma anche quando ciò avviene, esso è spesso incompleto, o non è seguito dalla discussione con uno specialista per programmare un trattamento specifico o semplicemente una strategia di sorveglianza. Nel caso del vaccino contro l’epatite B, nonostante in Europa il tasso di copertura sia molto elevato, si deve sempre più spesso affrontare il fenomeno dell’esitazione vaccinale, in gran parte conseguenza della perdita della fiducia nelle politiche sanitarie da parte del pubblico. Numerose altre barriere intervengono in contesti specifici, ad esempio i costi, la stigmatizzazione di certi gruppi di pazienti (ad esempio i politossicomani), e il fatto che l’epatite virale, essendo nella maggior parte dei casi asintomatica, non venga percepita come un problema di salute personale prioritario. Per accelerare il raggiungimento degli obiettivi prefissati per il 2030, l’OMS incoraggia strategie di semplificazione della gestione diagnostica e terapeutica dei pazienti, nonché iniziative sul territorio, come la decentralizzazione e la rimozione di barriere relative ai sanitari abilitati alla prescrizione. Tuttavia, senza una decisiva volontà politica e fondi adeguati, la strada verso l’eliminazione delle epatiti virali rimane lunga e tortuosa.
Francesco Negro
Università di Ginevra
Dal nostro catalogo: Le mie epidemie