La scienza espressa
di Stefano Ossicini

Attenti a quell’acqua!

È l’11 ottobre del 1969, solo tre mesi prima l’uomo ha raggiunto la luna, ma allo stesso tempo fosche nubi paiono addensarsi sul destino del nostro pianeta. Sulla rivista Nature compare una lettera del chimico F. J. Donahoe del Wilkes College della Pennsylvania, decisamente inquietante: “Dopo essermi convinto dell’esistenza della poliacqua, non riesco a persuadermi che non sia pericolosa. In questa vicenda le conseguenze di un errore possono essere così serie che solo una chiara e provata evidenza della mancanza di rischi risulta accettabile. Unicamente l’eventuale esistenza di meccanismi naturali in grado di depolimerizzare il materiale, rendendolo innocuo, potrebbe tranquillizzarci. Finché questa riprova non esiste, considero questo polimero come il materiale più pericoloso esistente sulla terra. Mentre scrivo, molti gruppi di ricerca stanno sicuramente creando la poliacqua, vi scongiuro, trattatela come il virus più mortale che esiste”.

Cosa è mai questa poliacqua? E perché rappresenta un pericolo così grande, peggiore della peste? Questa storia era cominciata sette anni prima quando un chimico dell’Istituto Tecnico della città di Kostroma in Unione Sovietica, Nikolai Fedyakin, stava studiando il comportamento dell’acqua, prima fatta evaporare in una camera a vuoto e poi fatta ricondensare all’interno di capillari, tubicini di vetro di diametro inferiore al millimetro. Fedyakin aveva osservato che nei tubicini venivano, dopo lungo tempo, a formarsi due tipi di liquidi, disposti uno sopra l’altro: il liquido superiore stranamente cresceva spontaneamente a discapito di quello inferiore. Questo era bizzarro, ogni liquido tende a evaporare sotto forma di gas e il gas poi tende a ricondensare nella forma liquida di partenza. Qui sembrava che si avesse a che fare con qualche cosa di inaspettato, mentre la colonna inferiore era acqua normale, il liquido superiore risultava più denso. Era come se parte dell’acqua ricondensata nel piccolissimo capillare, pur mantenendo la stessa composizione chimica, avesse subito una modificazione della sua struttura. Fedyakin pubblicò i suoi risultati su una rivista specialistica.

Questi risultati accesero la curiosità di Boris Deryagin, il potente direttore dell’Istituto di fisica e chimica dell’Accademia delle scienze dell’Urss, uno dei chimici russi più famosi. Deryagin chiamò Fedyakin nel suo istituto e negli anni successivi si buttò a corpo morto sulle ricerche relative a questo strano comportamento dell’acqua. L’istituto si ingrandì fino a occupare una cinquantina di persone e in pochi anni raggiunse risultati sorprendenti. Per prima cosa venne sviluppato un metodo più rapido per ottenere il liquido esotico, solo poche ore. Le quantità di miscela liquida a disposizione erano sempre molto piccole, ma si poteva cominciare un serio programma di studio delle sue proprietà fisiche. Si scoprì cosi che questa miscela, invece di bollire a 100°C lo faceva a temperature superiori ai 200°C-300°C. Inoltre solidificava gradualmente solo a partire dai -30°C e risultava il 10%-20% più densa dell’acqua. Se poi la strana miscela veniva totalmente separata dall’acqua ordinaria, si otteneva una sostanza più stabile, densa una volta e mezzo l’acqua e quindici volte più viscosa, una specie di gel, insomma. Fra l’altro Deryagin ne misurò il peso molecolare, che risultò essere circa 180, quando quello dell’acqua (H2O) è 18 (16 dovuti all’atomo di ossigeno e 2 ai due idrogeni). Era come se una decina di molecole d’acqua fossero molto intimamente connesse tra di loro. Deryagin si convinse di aver scoperto una nuova struttura, una forma particolare dell’acqua e la battezzò acqua anomala. L’acqua è comunque una sostanza realmente sorprendente. A differenza delle altre sostanze la sua forma solida, il ghiaccio, è meno densa di quella liquida. Dell’acqua esistono fasi diverse, e del ghiaccio si conoscono oltre una dozzina di tipi diversi, che differiscono per struttura cristallina, ordinamento e densità.

Nel 1966 Deryagin presentò le sue ricerche a un congresso internazionale a Nottingham in Gran Bretagna. Qui i suoi risultati incontrarono l’interesse del famoso fisico John D. Bernal che definì quella di Deryagin “la scoperta del secolo”. Da quel momento le ricerche sulla cosiddetta acqua anomala esplosero in tutto l’occidente. In Usa Robert Stromberg dell’Ufficio nazionale dei pesi e misure del Maryland ed Ellis Lippincott, direttore del Centro per la ricerca sui materiali dell’università del Maryland studiarono gli spettri di assorbimento dell’acqua anomala e si convinsero di avere a che fare con una sostanza del tutto nuova. Furono anche in grado di ipotizzare un modello strutturale per questa sostanza, una forma inedita basata su esagoni, formati da sei molecole d’acqua, legati fra di loro a formare catene polimeriche, in cui gli idrogeni, posti fra una molecola d’acqua e l’altra, sono legati in maniera simmetrica, diversamente da quanto avviene nell’acqua usuale. Le danno il nome di polywater, acqua polimerica, poliacqua. È la nascita di un territorio nuovo, inesplorato, ottima zona di caccia aperta a molti altri scienziati.  È l’inizio di una furiosa corsa che vedrà in pochi anni varie centinaia di ricercatori pronti a costruire, con le tecniche di Deryagin, la poliacqua. Essa verrà conservata in provette di diversi materiali o direttamente sulle superfici, sotto forma di goccioline, e tutto ciò provocherà in pochi anni, oltre cinquecento articoli sulle diverse riviste scientifiche. Più o meno il 50% proveniente dagli Stati Uniti, l’altra meta dal resto del mondo.

Il problema è che, fin dall’inizio, la gran parte dei ricercatori al lavoro sembrò più interessata a trovare una spiegazione delle affermazioni e dei risultati riportati, che non a interrogarsi sulla reale esistenza del fenomeno. Ci si sbizzarrì sui possibili usi dell’acqua polimerica: da moderatore nelle centrali nucleari a quello come mezzo lubrificante, dall’impiego come inibitore della corrosione a quello come liquido antigelo, fino alla sua futuristica applicazione come materiale per la costruzione di mobili, sedie, tavoli e stoviglie. Ed è qui che si inserisce la terribile minaccia di Donahoe di cui sopra. Finora la quantità di poliacqua prodotta, messa tutt’assieme, risultava molto bassa. Ma se questa sostanza venisse prodotta in abbondanza e diventasse di uso comune, le conseguenze finirebbero per essere drammatiche. Essendo una forma più stabile dell’acqua potrebbe crescere a spese di quest’ultima e trasformare tutti gli oceani del mondo in una enorme riserva di acqua polimerica, determinando la fine della vita sulla terra.

Ma già diversi ricercatori, scettici, avevano sollevato il problema dell’esistenza di possibili contaminazioni presenti nelle provette utilizzate. Diversi gruppi cominciarono a fare analisi chimico-fisiche accurate e trovarono particelle di silice staccatesi alle pareti delle provette e anche altri composti di silicio e ossigeno, silicati contenenti sodio e potassio, e composti di azoto, boro e contaminanti organici. Non solo, tutti questi elementi estranei rappresentavano una percentuale significativa dei campioni di poliacqua, dal 20% al 60%. Alla fine lo stesso Deryagin capitolò e nel 1973, in una nota su Nature, ammise che le proprietà dell’acqua anomala  erano dovute alla presenza di contaminanti. La poliacqua scomparve dalla faccia della terra e soprattutto dagli oceani. Di fatto non era mai apparsa.

Di questa storia rimangono due aspetti curiosi. Da una parte è sorprendente come una profezia simile a quella sulla pericolosità della poliacqua fosse stata avanzata, nel 1963, dallo scrittore Kurt Vonnegut in uno dei suoi racconti fantascientifici più famosi Ghiaccio nove. Qui un rinomato e discusso scienziato aveva trovato un modo per congelare l’acqua ad alte temperature, dando luogo a un particolare tipo di ghiaccio, il ghiaccio nove appunto. Questo sarebbe stato in grado, per contatto, di solidificare qualunque cosa; un’arma micidiale capace di annientare ogni forma di vita sulla Terra. Dall’altra colpisce come il più famoso fisico americano, Richard Feynman, premio Nobel, avesse così commentato la vicenda della poliacqua, in base a considerazioni energetiche: “Non c’è alcuna poliacqua, perché se esistesse, ci sarebbe anche un animale che non ha alcuna necessità di mangiare. Gli basterebbe bere acqua normale ed evacuare poliacqua”.

                                                                                              Stefano Ossicini

Università di Modena e Reggio Emilia

Per saperne di più

  • F. Franks “Poliacqua”, Il Saggiatore, 1983.
  • S. Ossicini “L’universo è fatto di storie, non solo di atomi. Breve storia delle truffe scientifiche”, Neri Pozza, 2012.
  • Kurt Vonnegut “Ghiaccio Nove”, Feltrinelli, 2013

 

 

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