La scienza espressa
di Catalina Curceanu

La mia Ucraina: un viaggio tra fisica, amicizia e destino

Correva l’anno 1991 e io, giovanissima laureata in fisica a Bucarest, ero stata selezionata per la scuola di fisica CERN-Dubna, un’iniziativa che da anni riuniva giovani fisici provenienti dai due blocchi – al di qua e al di là del Muro – alternando le edizioni tra l’Ovest e l’Est. Una meravigliosa opportunità per la collaborazione scientifica senza (per quanto possibile – sappiamo bene che non è esattamente così) frontiere. Il CERN era il laboratorio per eccellenza del mondo occidentale, così come Dubna rappresentava il meglio della fisica dell’Est.

Nel 1991 la scuola si teneva ad Alushta, in Crimea, in un momento storico critico: l’Ucraina stava per diventare indipendente.

Alushta è un luogo meraviglioso sul Mar Nero e lì, per due settimane, abbiamo studiato fisica tutti insieme, ma soprattutto abbiamo imparato a conoscerci – ragazzi dell’Est e ragazzi dell’Ovest. Un’iniziativa davvero lodevole e straordinaria!

Abbiamo anche visitato Yalta, famosa per la conferenza del 1945, ma non è di questo che voglio parlarvi… bensì del mio Kiev!

All’epoca eravamo tre ragazzi rumeni partecipanti alla scuola e avevamo raggiunto la Crimea in treno, facendo scalo a Kiev. Un viaggio lunghissimo: due notti e un giorno. Era primavera e nell’aria si respirava speranza: il profumo del futuro.

All’andata non ci furono problemi: un rapido cambio di treno a Kiev ed eccoci ad Alushta, un po’ stanchi ma felici – chi l’avrebbe mai detto! Tra gli insegnanti c’era anche John Ellis, l’inventore dei diagrammi pinguino (penguin diagrams) nati da una scommessa, e molti altri illustri ricercatori di fisica sperimentale e teorica. Era una scuola di altissimo livello: niente slide PowerPoint, si scriveva ancora alla lavagna, a mano!

Terminata la scuola, era tempo di tornare a casa, a Bucarest. Eccoci quindi sul treno affollatissimo (sei persone in una cuccetta) che da Alushta ci riportava a Kiev. Con me portavo non solo la fisica, ma anche tante nuove amicizie e nuovi orizzonti – mentali e spirituali.

Arrivati alla stazione di Kiev, dopo una notte quasi insonne, ci aspettava il nostro treno per Bucarest, in partenza due ore dopo… soltanto che, al momento del controllo, ci dissero che i nostri biglietti (ovviamente cartacei, perché all’epoca non esistevano quelli elettronici) non erano validi.

Non risultavano registrati.

Panico!

Che fare?

Nulla, almeno per il momento. La stazione era affollata, come tutte le grandi stazioni, e noi non sapevamo cosa fare. Decidemmo allora di seguire un collega fisico di Kiev, che aveva partecipato anche lui alla scuola e che era tornato con noi in treno, per visitare la città, con la promessa di riprovare la sera a farci riconoscere e validare i biglietti.

Fu così che arrivai a vedere Kiev – le sue piazze, la sua gente, le sue chiese e i suoi parchi (dove, tra l’altro, ci riposammo su una panchina, mangiando quanto offertoci dal nostro amico ucraino – noi non avevamo soldi).

Una passeggiata tra la novità di quella bella città, tra la gioventù che si vedeva in giro e gli sguardi pieni di speranza. Kiev e tutta l’Ucraina stavano per conquistare la loro autonomia (no, non voglio fare un discorso di geopolitica, ma di sensazioni e sentimenti).

Musei, teatri, piazze, viali alberati, palazzi, case… e soprattutto gente.

Scese la sera e, sempre accompagnati dal nostro gentile collega ucraino, tornammo alla stazione. Ma ancora una volta ci dissero che i nostri biglietti non erano validi.

Fu allora che il nostro timido e gentile amico si trasformò in una furia: ci strappò i biglietti di mano e si precipitò a parlare con il responsabile. Dalla distanza sentivamo urla, ma lui non demordeva.

Dopo un po’ tornò da noi con un sorriso timido… e con i biglietti perfettamente validi. Non ci disse mai come avesse fatto.

Ci accompagnò fino al treno, ci salutammo e salutammo Kiev, con quella sua “non so che” nell’aria.

Non ho più incontrato quel collega ucraino, ma in questi giorni penso spesso a lui e a tutti quelli che oggi soffrono per questa ingiusta aggressione.

Vorrei potervi restituire, cari ucraini, almeno un po’ della gentilezza che quel giovane fisico ci donò – facendoci compagnia per Kiev, nutrendoci e permettendoci di tornare a casa.

Il mio cuore piange per voi!

Catalina Curceanu

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