La scienza espressa
di Alessio Ricci

La guerra che (ancora) non c’è: la rivalità eterna tra India e Pakistan

Ogni volta che scoppia un conflitto nel mondo, ci guardiamo tra di noi meravigliati e terrorizzati: ma non ci era stato detto che quelle cose succedono solo nelle serie tv o nei film su Netflix? Ci deve essere qualche qualcosa che non torna. Di sicuro. Ma dopo qualche attimo di sbigottimento e farfugliamento, il più delle volte torniamo a fare aperitivo come se nulla fosse accaduto, troppo presi dalle nostre altissime (o bassissime) preoccupazioni quotidiane.

La realtà, ahinoi, è altra cosa.

A più di 5000 km di distanza ci sono state diverse e notevoli avvisaglie militari che sono prodomo di una guerra che non scoppierà adesso. Pare infatti che il confronto tra i due pesi massimi, India e Pakistan, sia per ora fortunatamente evitato e rinviato.

Tuttavia, la diplomazia (soprattutto americana), anche quando agisce bene e in maniera efficace, lo fa sulla sovrastruttura. Su quello che si percepisce, soprattutto da fuori. I problemi strutturali rimangono, e sono ben lungi dall’essere risolti e appianati.

Partiamo dalla Storia, materia che purtroppo alle nostre latitudini si è smesso di studiare, convinti – poverini – che fosse finita, ma che inesorabile torna sempre a bussare alla porta.

India e Pakistan per circa un secolo, da metà dell’Ottocento fino al 1947, erano colonie britanniche: l’India era “la perla dell’impero”, è noto a tutti. L’uscita inglese fu rapida e goffa, vennero tracciati confini sommari: la cosiddetta “Linea Radcliffe”, dal nome dell’avvocato inglese Cyril Radcliffe, mandato da Londra appositamente per assolvere al problema, con il compito di dividere politicamente i due paesi, lavoro molto arduo e gravoso visto che le popolazioni erano distribuite a macchia di leopardo e in molti casi più che amalgamate. Qualora fosse stato raggiunto, esercizio comunque inutile perché etnicamente e culturalmente indiani e pakistani neanche esistono in maniera univoca, bensì entrambi hanno centinaia di sfaccettature. Addirittura, il nome Pakistan nasce come acronimo di Punjab (P), Afghania (A), Kashmir (K), Sindh (S) e Belucistan (-TAN), questo già solo per intendere la complessità di questo Stato.

Il risultato fu che Punjab, Bengala e Kashmir furono divisi e, a pochi giorni dall’indipendenza, circa 15 milioni di persone (spontaneamente e non) varcarono i nuovi confini in un senso o nell’altro, lasciando la propria terra poiché ritenuti appartenenti alla controparte opposta. Immediatamente si innescarono recriminazioni territoriali, che portarono a una primissima e inevitabile guerra, con milioni di morti. Il “primo” Pakistan fu addirittura previsto come sezionato in due parti distinte e distanti 2000 km: il Pakistan occidentale (l’attuale Pakistan) e il Pakistan orientale (l’odierno Bangladesh), etnicamente e linguisticamente diversi, accumunati solo dall’essere musulmani e dal cingere gli indiani/indù ai lati. Situazione assurda che, ovviamente, deflagrerà in una guerra civile nel 1971, dopo la quale il Bangladesh divenne indipendente.

La situazione dell’India è, se possibile, ancora più complessa. Poiché non esiste un censimento ufficiale almeno dall’epoca inglese, è interessante analizzare uno studio scientifico del 2003 il quale ha rilevato su un campione rappresentativo della grandissima popolazione indiana, almeno 58 marcatori del DNA diversi, afferenti a ceppi indo-europei, dravidiani, tibet-birmani, austro-asiatiche. Probabilmente il quadro etno-culturale è ancora più complesso di quello scientifico, poiché le varie etnie hanno abitudini, usi e costumi, lingue, religioni, diversi fra di loro, spesso in contraddizione. Giusto per dare un’idea: alcuni ceppi linguistici indiani della famiglia indo-europee sono più simili e appartenenti alla stessa grande famiglia delle nostre lingue neolatine rispetto che altri idiomi endogeni sempre indiani, ma pertinenti ad altri ceppi. Non è un caso che nei secoli, l’unica soluzione perseguibile e ideata per tenere questa miriade di popolazioni diverse sotto lo “stesso tetto” è stato il sistema a caste, dove ogni casta è ben separata dalle altre, con compiti ben specifici. Oggi questo sistema è stato ufficialmente abolito, tuttavia per la maggior parte degli indiani è giusto proibire che ci si possa sposare tra ceti diversi.

Proprio lì al confine, nel Kashmir, riaffiorano le frizioni e i sentimenti mai sopiti. Ufficialmente la vasta regione è tripartita: l’India governa la valle del Kashmir (nel centro, a maggioranza musulmana), la regione di Jammu (a maggioranza Indù) e il Ladakh, il Pakistan governa l’Azad Kashmir e il Gilgit-Baltistan (nella parte orientale del Kashmir) e la Cina l’Aksai Chin e il Trans-Karakoram. Da questa descrizione traspare già come fosse fragile lo status quo, poiché inoltre Islamabad non riconosce il controllo di Nuova Delhi. Una delle parti più “calde” è senza dubbio la valle centrale del Kashmir, a governo indiano, a larga maggioranza musulmana ed etnicamente afferente al Kashmir pakistano. Ma non è la sola e l’unica: anche la parte pakistana risulta notevolmente frastagliata. Cosicché i frequenti atti di violenza e terrorismo vengono facilmente addossati alla parte opposta e l’escalation è velocissima, come abbiamo visto.

A livello geopolitico, la competizione è ugualmente serrata e si innesta nel quadro della lotta globale: oltre al Pakistan, il nemico naturale dell’India è proprio la Cina (rimarcando l’inutilità di chi chiama i BRICS “un’alleanza”) e quest’ultima non fa altro che finanziare esercito e infrastrutture di Islamabad, per tenere sempre puntato alle costole del gigante indiano un coltello affilato. D’altra parte, Nuova Delhi è un pilastro del QUAD, l’infrastruttura quadrilaterale strategica con USA, Giappone e Australia messa in piedi da Washington per contenere la Cina. Seppur l’astio verso gli occidentali sia altissimo (memori dal controllo di Sua Maestà), l’odio e il timore verso la Cina lo sono di più. Ma i rapporti non sono chiari e cristallini ed è vero che i giocatori esperti giocano su più tavoli: infatti anche se negli ultimi anni Pechino è stato il partner principale per Islamabad, gli americani continuano ad avere rapporti altalenanti; per lunghi tratti, infatti, il Pakistan è stato aiutato finanziariamente e militarmente in ottica di cooperazione strategica prima antisovietica, poi “antiterrorismo” islamico. D’altra parte, occorre ricordare che il principale fornitore militare dell’India è la Russia: mai Nuova Delhi ha condannato l’invasione dell’Ucraina, pure in sede onusiana, tenendosi sempre tatticamente al riparo. In barba a chi diceva che le democrazie erano solidamente e idealmente schierate contro le autocrazie: no, le ideologie contano zero nei rapporti fra popoli. Ribadiamolo.

L’India è indiscutibilmente una potenza, non può non esserlo, e quando lo Stato più popoloso del mondo pensa all’Umanità pensa a sé stesso. Inoltre, a differenza della Cina, la popolazione è demograficamente più giovane (quindi più violenta), destinata ulteriormente ad aumentare. Nuova Delhi è furba, si fa corteggiare, approfitta dei guai e delle diatribe di americani, russi e cinesi per crescere, nasconde le gravi discrasie interne che potrebbero portarla a implodere, pur di mostrarsi forte, solida, con una forte economia in ascesa, giovane e violenta; non ultimo è protetta dall’Himalaya a nord e dall’Oceano a sud, non male.

Ma Bahrat (nome di alcune lingue indiane per l’India stessa) non è né nazione né impero, troppe le gravi problematiche strutturali da cui è attanagliata. Al suo interno molte etnie diverse, tante lingue, religioni. Impossibile l’amalgama comune. Il sistema federale fatica a reggere e il cambiamento veloce in corso potrebbe portare a una guerra civile. Per non parlare delle condizioni di estrema povertà di intere regioni.

L’India vuole essere superpotenza, ma è molto difficile che riuscirà a capitalizzare tutto il vantaggio geostrategico sinora accumulato. Il suo più grande nemico è sé stessa.

Alessio Ricci

Per approfondire:

  • Basu, A., Mukherjee, N., Roy, S., Sengupta, S., Banerjee, S., Chakraborty, M., … & Majumder, P. P. (2003). Ethnic India: a genomic view, with special reference to peopling and structure. Genome research, 13(10), 2277-2290.
  • Sahgal, N., Evans, J., Salazar, A. M., Starr, K. J., & Corichi, M. (2021, June 29). Religion in India: Tolerance and segregation. Pew Research Center. https://www.pewresearch.org/religion/2021/06/29/religion-in-india-tolerance-and-segregation/
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