La scienza espressa

Ideali e dualità: un viaggio nella matematica

di Francesca Arici13 Maggio 2024 algebra, geometria, la scienza espressa, matematica

Avete mai notato come i numeri dispari sembrino un po’ irregolari (tanto che in inglese vengono chiamati odd), mentre i numeri pari hanno un comportamento più prevedibile? Quando sommiamo o moltiplichiamo due numeri pari, o un numero pari per qualsiasi altro numero intero, il risultato è sempre pari. Questo rende i numeri pari piuttosto stabili. I numeri dispari, d’altro canto, non si comportano in questo modo. Tuttavia, se ci fermiamo a pensare, ci accorgiamo che multipli di tre, quattro, cinque, e in generale i multipli di un qualunque numero intero, si comportano esattamente come i numeri pari. Queste caratteristiche di stabilità rispetto alla somma e moltiplicazione hanno portato i matematici a identificare questi insiemi di numeri con un nome speciale: ideali di un anello (in questo caso, l’anello degli interi). Questo termine, coniato dal matematico tedesco Dedekind nel 1876, rende omaggio alle caratteristiche speciali di questi insiemi.

Gli ideali si presentano in forme diverse nella letteratura matematica. Seguendo il lavoro pionieristico di Kummer, Dedekind e Dirichlet, Hilbert e Noether estesero il concetto di ideale al di là degli anelli numerici agli anelli polinomiali e ad altri anelli commutativi. Gli ideali sono ora un concetto centrale in una nozione matematica che ha permeato i campi della geometria, dell’algebra, dell’analisi e della topologia: la dualità. Immaginiamo di guardare un oggetto da due angolazioni diverse e scoprire dettagli diversi. Questo è quello che succede con la dualità. È come guardare una moneta da sopra e da sotto: da ciascuna angolazione si scoprono cose nuove. Parafrasando il matematico Sir Michael Atiyah, la dualità in matematica va oltre il mero concetto di teorema: è un vero e proprio “principio” che garantisce che adottando punti di vista complementari su uno stesso oggetto, si possono ottenere intuizioni più profonde sulle sue proprietà matematiche. È un concetto che si estende a molte discipline, dalla geometria all’analisi e persino alla fisica.

La dualità tra algebra e geometria di cui Hilbert e Noether sono stati pionieri, trova la sua origine nell’opera di Cartesio, in particolare nella dualità punto-linea della geometria proiettiva. I teoremi della geometria proiettiva piana restano validi se si scambiano le parole “linea” e “punto” e si adattano i verbi. Ad esempio: per due punti passa una e una sola linea, due linee si incontrano in un unico punto.

All’origine della geometria algebrica troviamo una corrispondenza tra ideali in anelli di polinomi su campi algebricamente chiusi e una classe di spazi geometrici chiamati varietà: il teorema degli zeri di Hilbert. Questa dualità tra algebra e geometria è stata sviluppata ulteriormente nel ventesimo secolo, culminando nell’opera di Alexander Grothendieck e nella sua teoria degli schemi. Un altro esempio interessante è la dualità di Gel’fand. Quest’ultima stabilisce una corrispondenza tra oggetti geometrici quali gli spazi topologici localmente compatti e Hausdorff e una classe di oggetti che si collocano a metà tra l’algebra e l’analisi, le C*-algebre commutative. Questa dualità è il punto di partenza della geometria non commutativa, introdotta da Connes negli anni Ottanta con l’obbiettivo di estendere la topologia e la geometria riemanniana allo studio delle algebre di operatori su spazi di Hilbert. La trasformata di Gel’fand mappa uno spazio compatto di Hausdorff nella sua algebra di funzioni continue a valenza complessa. Viceversa, a qualsiasi C*-algebra commutativa si associa uno spazio topologico di Hausdorff: il suo spettro. Forse non a caso, lo spettro è costruito da ideali: esiste un omeomorfismo naturale tra lo spazio degli ideali massimi in un’algebra di funzioni su uno spazio e lo spazio stesso: questa corrispondenza si ottiene associando a ogni punto l’ideale delle funzioni che svaniscono su quel punto. La dualità di Gel’fand è il punto di partenza della geometria non commutativa.

Ma facciamo un passo indietro e parliamo di (non)commutatività. La proprietà commutativa, tipica di somma e prodotto tra numeri, garantisce che il risultato dell’operazione non cambia quando a cambiare è l’ordine in cui facciamo l’operazione. Nel mondo non commutativo, l’ordine delle operazioni influisce sul risultato. Per esempio, nello spazio tridimensionale, la composizione di rotazioni attorno a due assi ortogonali produce risultati diversi. La formulazione matematica della meccanica quantistica merita un posto speciale tra le strutture non commutative.  Il principio di indeterminazione di Heisenberg ne è un esempio, poiché l’ordine in cui si misurano la posizione e la quantità di moto di una particella influisce sul risultato. Questa incertezza non è dovuta a carenze tecniche, ma è conseguenza della non commutatività degli operatori posizione e quantità di moto.

La prospettiva della dualità di Gel’fand, combinata con la non commutatività della teoria quantistica, ha incoraggiato i matematici a considerare la seguente analogia: se una C*-algebra commutativa è uno spazio topologico, allora pensare alle algebre C* non commutative è come pensare a degli spazi quantistici. Nell’approccio di Connes alla geometria non commutativa, le proprietà geometriche di uno spazio sono tradotte in proprietà analitiche espresse in termini di operatori. Questa interazione tra topologia, geometria e algebre di operatori ha portato a importanti sviluppi in entrambi i campi, con le tecniche delle algebre di operatori che hanno prodotto nuovi risultati in topologia, geometria, e fisica.

Francesca Arici

Università di Leida

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