La scienza espressa
di Marco Fulvio Barozzi

Come si è detto, la menzogna chiama altra menzogna, e la tattica dello sprovveduto Chasles era quella di rilanciare con nuove prove, che riteneva veritiere. Il 9 settembre ribadiva quanto sostenuto, dicendo che avrebbe pubblicato tutto, per mettere fine a una polemica che si stava trascinando da troppo tempo. Chiunque avrebbe poi potuto trarre le sue conclusioni.

Veniva poi data lettura di una lettera di Faugére, che rispondeva all’intervento di Chasles della settimana precedente. Il documento principale da verificare per l’esame della scrittura si trovava non molto distante: era la copia autografa dei Pensieri conservata alla Biblioteca Imperiale. Allegava alla memoria il fac-simile di una lettera della sorella Jacqueline, dal quale era evidente che la scrittura era diversa da quella del fratello e da quella del falso Pascal e della falsa sorella presentati da Chasles. Sul movimento della Terra, era facile smentire il matematico, in quanto era lo stesso Pascal, nei Pensieri, a scrivere “Che l’uomo contempla la natura intera nella sua alta e piena maestà… che guarda questa straordinaria luce messa come una lampada eterna per illuminare l’universo; che la Terra gli appare come un punto rispetto al vasto giro che questo astro descrive”. Faugére passava poi all’attacco finale, che è bene riportare per intero:

“La quantità non potrà mai supplire alla qualità. Dal momento che, in effetti, che tutti gli esemplari attribuiti a Pascal sono, come ha dichiarato lo stesso signor Chasles, di una stessa scrittura, è sufficiente che uno solo sia riconosciuto falso perché lo siano tutti. E poi, questo numero prodigioso di documenti che compaiono tutti d’un colpo non fa piuttosto esercitare la diffidenza? Non è veramente straordinario che questi documenti indirizzati a così tanti personaggi diversi siano giunti dai punti più lontani per riunirsi nello stesso e unico deposito? Per quale caso fortunato, per esempio, le lettere che Pascal avrebbe indirizzato alla regina Cristina di Svezia vi si riuniscono con così tante altre?
Ma come supporre, aggiunge il mio eminente oppositore, che un solo uomo abbia potuto fabbricare una così grande massa di documenti? Che fecondità d’immaginazione, quale abilità non supporrebbe una tale opera? Il falsario ha dato prova, in effetti, di un’abilità straordinaria, perché, invece di vendere al dettaglio a diverse persone i prodotti della sua vasta fabbricazione, il che avrebbe fatto scoprire quasi subito la frode, ha avuto l’ingegno di vendere tutto insieme a un unico acquirente.
Non sarebbe impossibile, inoltre, che questi documenti, scritti dalla stessa mano, fossero stati ideati da diverse persone. Ma ciò che mi pare chiaro, è che uno stesso spirito ha presieduto alla loro composizione: essi si reggono e si accordano insieme, per così dire, come dei falsi testimoni che si sono accordati per soffocare la verità e accreditare la menzogna (…)”

Dopo due settimane di tregua, nella importante seduta del 30 settembre veniva data lettura di una memoria giunta da sir David Brewster riguardo alle lettere attribuite a Pascal e Newton. Egli aveva chiesto e ottenuto da Chasles le copie fotografiche di qualche lettera di Newton a Pascal in suo possesso. Ne aveva ricevute quattro e le aveva sottoposte al giudizio del conte di Portsmouth, che era in possesso di alcune lettere autentiche di Newton, del conte di Macclesfield, che ne possedeva ben 45, e di sir Frederic Madden del British Museum. Ebbene, i due Lord, e altri collezionisti consultati da loro, concordavano nel dire che non vi era la benché minima somiglianza tra le lettere autentiche e le copie fabbricate. Madden, per quarant’anni conservatore della sezione manoscritti del British Museum, giudicava la copia esaminata un falso grossolano ed evidente, sia per la scrittura, sia per la carta. Il tutto, concludeva Brewster, non era altro che la più audace impostura mai ordita.

Era intanto giunta una lettera, datata 12 settembre, dell’astronomo scozzese Robert Grant (1814-1892) al collega Le Verrier affinché la depositasse agli atti. Grant sosteneva senza mezzi termini che le scoperte attribuite a Pascal nei documenti presentati da Chasles riguardo alla determinazione delle masse relative del Sole, di Saturno e della Terra, erano delle pure invenzioni, basate sui numeri pubblicati da Newton nella terza edizione dei Principia. Molti dei dati astronomici che avevano consentito a Newton di completare la sua opera erano infatti stati determinati con precisione solo dopo il 1663, data in cui, secondo le testimonianze della sorella e dei contemporanei, Pascal si era ritirato da ogni attività scientifica e dal mondo stesso. Egli avrebbe potuto al massimo avvalersi dei dati rilevati da Riccioli (1651) e Huygens (1659), che erano stati corretti e integrati da Cassini, Flamsteed, Pound e Bradley tra il 1687 e il 1719. Come faceva Pascal a utilizzare misure, precise fino ai decimali, che sarebbero state note a Newton solo in occasione della terza edizione della sua opera? Per Grant l’unica risposta possibile era che la massa dei documenti attribuiti a Pascal da Chasles era una grande impostura.

Chasles replicava a tutti a suo modo: era in grado di produrre altri documenti, che avrebbero dimostrato, in risposta a Grant, come Newton si riconoscesse debitore di Pascal, di cui conosceva l’opera, che quest’ultimo poteva disporre di misurazioni astronomiche più corrette di quelle di Christiaan Huygens (che, su suggerimento di Pascal avrebbe corretto le proprie), che vi erano ragionamenti dell’inglese identici a quelli di Pascal. Inoltre, se la legge di gravitazione universale era già stata enunciata, prima di Newton, da Hooke, Wren e Halley, perché non da Pascal? Depositava a prova di ciò ulteriori lettere e note di Pascal (una a Newton), Huygens e Boyle. Inoltre poteva dimostrare, in risposta a Brewster, che la scrittura di un individuo può cambiare, anche di molto, nel corso del tempo, come era successo allo stesso Newton e come si poteva verificare da alcuni suoi autografi in possesso degli inglesi, da uno dei quali aveva ricevuto alcune copie fotografiche. L’ultima parte del suo intervento era una dettagliata perizia calligrafica delle variazioni nel tempo della scrittura di Newton. Chasles sosteneva poi che la scrittura può cambiare a seconda della lingua in cui si scrive: i documenti da lui mostrati erano stati scritti da Newton in francese, lingua che ben conosceva, mentre le perizie degli esperti inglesi si basavano esclusivamente su ciò che egli aveva scritto nella propria lingua madre. Chasles ribadiva poi, rispondendo a Faugére, l’argomento che una simile mole di documenti scritti da decine di autori diversi, con tutte le conoscenze scientifiche in essi contenute, non potevano essere l’opera di un solo falsario, per quanto molto abile. Aggiungeva alla mole dei documenti a disposizione dell’Accademia alcune lettere di Newton (una indirizzata al re di Francia), di John Aubrey, di re Giacomo II a Newton e di Gassendi.

Duhamel intervenne per rispondere che la legge di gravitazione universale poteva benissimo essere stata enunciata da alcuni prima di Newton, ma nessuno l’aveva dimostrata. E se lo stesso Newton riconobbe che Hooke, Wren e Halley lo avevano ispirato, per quale motivo, se era in contatto epistolare con Pascal, non avrebbe fatto il suo nome? La realtà era che Pascal non poteva aver fatto calcoli con gli infinitesimi, che erano ancora di là da venire, e pertanto le lettere presentate da Chasles non erano sue. La massa ingente di documenti prodotti poteva dimostrare, al limite, un contatto epistolare tra Pascal e Newton ancora bambino, ma non spiegava come mai Pascal parlasse delle sue scoperte con lui e non con Roberval o Fermat, con i quali era di sicuro in contatto.

Interveniva poi Le Verrier: ricordava la sua sorpresa riguardo al fatto che la stima della massa di Giove contenuta nelle lettere di Pascal rese pubbliche da Chasles il 15 luglio fosse identica a quella che poté essere calcolata da Newton e da Laplace basandosi sulle osservazioni di James Pound degli anni 1716-1719. Questa obiezione, poi sviluppata da Grant, portava a ritenere che una parte delle osservazioni astronomiche attribuite a Pascal fosse falsa. Egli era orientato a pensare che, tra i documenti autentici, per sete di guadagno, qualcuno avesse inserito dei documenti contraffatti, in modo che la soperchieria era difficile da smascherare. Le Verrier invitava pertanto Chasles a prendere in considerazione questa ipotesi e a voler far verificare da esperti tutto il materiale in suo possesso.

Marco Fulvio Barozzi

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